Si, questo è un altro blog sui fumetti. E come suggerisce il nome, indica una malattia: la dipendenza dai fumetti.

Benvenuti nell'ennesimo posto del web, saturo di dissertazioni e soliloqui, commenti e suggerimenti sulla nona arte.
Perchè fondamentalmente, chi ama i fumetti, non ne hai mai abbastanza, e non solo di leggerli, ma nemmeno di pontificarci sopra.

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Fumettopenìa è dedicato a Fumettidicarta ed al suo papà Orlando, che dal 2009, non ha mai smesso di farmi credere che scrivessi bene! Anzi scusate, che scriverebbi bene. E se adesso migliorato, lo devo sicuramente ai suoi incessanti consigli.

lunedì 28 marzo 2016

Dawn of Justice: la recensione senza spoiler.


424 mln $ al debutto.
Direi che la linea cinematografica DC è un affare sicuro quanto quella Marvel, ora le tifoserie si spranghino pure.
Baci ai pupi.

venerdì 18 marzo 2016

Il gioco dell'oca

Forse sono esterofilo perchè mi avvicino all' Italia che non sa fare fumetto.
Nick Banana, Dylan Dog, Morgan Lost, Orfani, Battaglia, le Storie e la Dottrina, tanto per citare qualche nome  che mi hanno fatto correre al Comune per rinnovare il passaporto ed evadere dalla provincia italiana della nona arte.

Eppure ultimamente tra una lettura e l'altra mi sono concesso qualche volume italiano, un pò guardingo e scettico. Comunque ho scelto restando, fedele ad una regola: se non ne parlano troppo su facebook, minimo è un capolavoro.
Già un mese fa con Churubusco di Andrea Ferraris, della Coconino Press Fandango, la mia esterofilia ha subito un duro colpo, bravissimo Ferraris, oggi mi sono dovuto ricredere ulteriormente, su come facciamo i fumetti qui in Italia dopo aver letto Il gioco dell'oca di Stefano Munarini e Mauro Ferrero, un bonellide, (ma con un altro tipo di carta),  edito da Tunuè, nella linea Le Ali, da 112 pagine in bicromia, soluzione tanto stilosa quanto poco pubblicizzata.
Se penso agli strilloni che Bonelli ha fatto per tutto quel rosso in Morgan Lost, e Tunuè che fa una cosa analoga con l'azzurrino, non lo menziona manco nel sito, e liquida il tutto con un poco indicativo B/N.

Signor Tunuè corregga subito, che proprio il fumetto di cui sopra, Il Gioco dell'oca, parla di avere fiducia nelle proprie capacità e credere in se stessi.


Ma di che parla Il gioco dell'oca?
Di scorciatoie, di incoscienza anche, di un fallimento, ma anche di una rinascita e, che bello dopo tanto oscuro revisionismo pessimista, leggere un lieto fine.
Dopo tanto Rick Veitch, non è stato affatto male imbattersi in questa leggerissima ed emozionante novella.
Jason è uno di noi, e vive la sua avventura negli anni '90, gli ultimi anni senza Facebook, anni che ora sembrano lontani come il medioevo, anni in cui il fumetto era ancora passione e non una malattia, Jason è un nerd, e fa quello che fanno tutti i nerd, alla fine della lettura di qualcosa di veramente bello, fantastica di essere lui l'autore di quella storia, Jason non si contenta più di essere un lettore, vuole essere un autore, ma vuole saltare qualche tappa, e a Jason, non manca quella incosciente intraprendenza di provare a fingersi qualcun altro, così comincia il suo peregrinaggio nelle fumetterie d' America più sperdute dove fa finta di essere ora questo o quell' autore, e firma albi e rilascia autografi, fino al giorno in cui, scoperto....
Basta, ho già svelato anche troppo di una trama semplice ed appetibile, che lascio a voi il piacere di scoprire pagina dopo pagina, mi limito a dire che l'ho divorato ed ho trovato il tratto di Mauro Ferrero assolutamente affascinante.

Lungi da me esprimere opinioni sul tratto dei disegnatori italiani, gentaccia davvero permalosa, per dare a Lauria del Mignola sono stato letteralmente lapidato sulla pubblica piazza, per esprimere commenti poco lusinghieri su Di Giandomenico o Rincione manca poco mi ritrovassi un esercito di fan inferociti fuori casa, ma a Ferrero, sperando non si incazzi anche lui, non posso non dire che ammirando le sue tavole, (bellissima la bicromia, assolutamente azzeccata, ipnotica quasi, che rende il fumetto di un taglio quasi underground, e che richiama visivamente alla mente un ventaglio di letture di altissimo livello), mi sono tornati in mente una sfilza di autori da quel tratto volutamente minimal eppure coinvolgente, Da Judge alla Satrapi passando per Mazzuchelli e Delisle, la sua mano mi ha letteralmente rapito, minimalista mai caotico, certosino e preciso nelle forme chiaro nelle illustrazioni, insomma perfetto.
Non avrei mai immaginato di divertirmi con una lettura made in italy, e chissà come mai i più bravi sono sempre quelli meno promossi, che bello sarebbe se le vendite premiassero certi stili, tanto da imporre un genere, un trend, nell'anarchico e mediocre palcoscenico italiano.
Invece come dice Moretti in Palombella Rossa, il trend italiano è negativo, e polemico.
Tanto tanto tanto polemico.
Bravo anche Munarini, 100 pagine o giù di li in cui gli eventi scandiscono un ritmo a dir poco coinvolgente, l'incipit che incuriosice, lo sviluppo che appassiona, il finale che appaga, e cosa vuoi di più da un fumetto nato in una nazione di wannabe votati alla più vuota autopromozione sui social?
E quanti applausi meriti per la microstoria del ragazzo che rubava i finali?
Ma tanti fidati! Tantissimi.
Ma bravissimi, e bravissima Tunuè, mea culpa se non sono mai andato oltre Paco Roca, se il catalogo è tutto a questi livelli, è solo per il livello medio basso del lettore, se non siete su ben altre scale sulle gerarchie della notorietà, li dove gli altri confezionano carta stampata in base ad indagini di following e condivisioni, voi avete portato nelle librerie una storia, nella tradizione della editoria classica, sana e ormai quasi del tutto estinta.
Leggete il gioco dell'oca regà.
Statemi a sentire.
Per un volta sostenete quel modo di fare fumetto in Italia che non genera imbarazzo.
Un fumetto che nasce fumetto e resta fumetto, e non si trasmuta alchemicamente in un vecchio pavone on line dalle piume arruffate e sfatte.

E grazie agli autori per questa botta d'ottimismo. C'è vita oltre la shockdom, esiste davvero l'alternativa alla rivoluzione della griglia bonelliana.
Baci ai pupi.

mercoledì 9 marzo 2016

Il mondo di Patlabor

Sono ritornato agli anni 'novanta.
Sono in piena manga fever, alla riscoperta di letture che fondamentalmente, per motivi di budget, ai tempi in cui ero un membro familiare economicamente passivo, dovevo eliminare dalla wishlist... per forza di cose.
Ora, che ringraziando al cielo, sono economicamente un attimino più agiato ed indipendente, posso permettermi atti di compulsione su ebay ed in giro per fumetterie, ultimamente mentre voi vi riempite le mensole di Lemire, io proprio non ci riesco, ho fatto un pò di recuperi, e tra queste sortite che hanno l'equivalente delle spedizioni delle donne nei centri commerciali in periodo di saldi, c'è stato quello di Patlabor di Masami Yuki, una serie pubblicata almeno 10 anni fa se non di più, dalla Star Comics, che interruppi per i motivi di cui sopra e che ho completato nello scorso 2015 con molta calma; e che per via della sua assoluta appetibilità ha inevitabilmente monopolizzato le ore dedicate alla lettura di questi giorni.

I giapponesi lo fanno meglio.


Era il 1988, quando il giovane Masami Yuki decise di scrivere un manga che rivoluzionasse il genere robotico.
Nella saga di Gundam di Y. Tomino del 1979, c'era stata un primo balzo evolutivo nelle trame,  in Gundam infatti, in tutte le sue incarnazioni, avevano reso i robot più realistici, riducendoli a prodotti di serie di una tecnologia umana avanzata.
Al contrario delle elitarie macchine di Go Nagai ed i suoi successori, che restavano pezzi unici, nonostante i nemici non fossero certo pochi, e nonostante ad ogni episodio venivano semi demoliti.
Se in Gundam, il Robot, con il concetto di Mobile Suite, o Mecha diviene un prodotto di serie come puo essere un carro armato, in Patlabor, i Labor sono esoscheletri ideati per i più svariati utilizzi, da quello edile a quello di ordine pubblico. (PatLabor è la fusione di Patrol e Labor, Pattuglia e Labor, termine con cui Yuki indica i Robot costruiti dalle varie corporation adibiti ai lavori più faticosi.)

Per dirla in altre parole, alla fine degli anni '80, Yuki immaginò un mondo in cui il Giappone e non solo, disponesse di una tecnologia capce di ideare macchine antropomorfe guidate da uomini o donne. Ed una corsa di produzione, tra varie corporation degna di un romanzo di fantapolitica.
Patlabor è ambientato nei 5 anni che vanno dal 1998 al 2002, il Giappone di quegli anni è un paese in ripresa economica ed urbanistica.
Come nazione, è sopravvissuto ad un terremoto (1995) e deve fare i conti con una situazione climatica che sta sciogliendo le calotte polari, ed aumentando il livello dei mari, una situazione che provoca la perdita delle sue coste.
Uno dei progetti che viene costantemente citato in Patlabor è il Progetto Babylon, che tra le altre cose si occupa della costruzione di barriere e dighe per la salvaguardia delle coste giapponesi. 

La portata mastodontica di questi lavori, ha indirizzato un altissimo numero di industrie nella ideazione e costruzione di particolari macchine, chiamate appunto Labor, che sostanzialmente sono dei bulldozer antropomorfi capaci di fare lavori più certosini rispetto alle classiche gru.
L'incremento e la produzione di massa di questo tipo di macchine ovviamente, ha finito per agevolare nuovi tipi di crimini, un Labor può essere usato con la stessa facilità, per costruire dighe o rapinare banche, e per questo che alla fine i governi hanno sentito l'esigenza di utilizzare questi mecha anche nelle forze militari e di polizia: Patlabor infatti racconta le avventure di una specifica squadra della questura di Tokio, la seconda squadra di veicoli speciali, che ha in forze due particolari Labor, gli Ingram delle industrie pesanti Shinohara pilotati dalla tenace Noa Izumi e l'irruento Isao Ota.


 
A grandi linee questo è il background di base, di questo divertentissimo manga, che ha la sua forza, secondo me nel riuscitissimo inserimento di macchine fantascientifiche come i Robot, in un contesto, urbano, realistico e routinario come può essere la vita di una squadra di polizia della questura di Tokio.Quello che più mi piace di questo manga è lo sviluppo della trama, Yuki, non si limita ad una sequenza di botte tra robot, al contrario, sulla nascita di questa macchina, costruisce trame dalle tematiche più vaste, dallo spionaggio industriale, l'ingegneria genetica, la condizione operaia, ho trovato di una incredibile appetibilità la storia dello sciopero degli operai piloti di labor, tessendo il tutto con fili di ironia tipica del sol levante, una zona in cui il fumetto è sempre stato una forma d'arte che rappresentava la cultura gli usi ed i costumi nazionali, condizione narrativa che traspare nella caratterizzazione dei personaggi, del loro modus vivendi e del loro rapporto con il prossimo ed il loro lavoro.




Decostruzionismo Robotizzato. 

Parliamo sempre del decostruzionismo delle calzamaglie, ma del decostruzionismo del genere dei super-robot, non ne parla nessuno?
oltre la saga del Gundam di Tomino, un altro autore che aveva accennatom ad una rivoluzione del genere, fu Hajime Yatate che un anno dopo, nel 1980, nel suo Trider G7, accennò per la prima volta all'originale soluzione narrativa che introduceva il concetto di costi di gestione di un Super Robot.
Indimenticabili i sipartietti in cui Watta Takeo, l'immancabile adolescente pilota, era ripreso dal vicepresidente della compagnia, Kakikoji, che si lagnava delle spese sostenute durante le missioni, carburanti, missili, usura, danni, un vero e proprio commercialista che non mancava mai in nessun epusodio dell'anime.
Yuki come detto, inserisce i Mecha, nel contesto routinario della vita di Tokio, in una maniera che finiscono per diventare un normalissimo aspetto della vita del suo mondo.
Nelle storie di Patlabor ci sono elementi che indirizzano le trame verso i più svariati temi, alcuni, posso assicurare, di una appetibilità indiscutibile, come le proteste sindacali degli operai, preoccupati che le multinazionali sviluppino un sistema operativo che li tagli fuori dalla cabina di pilotaggio, e renda i labor autonomi ed indipendenti dall' uomo, con i tagli sulla spesa della manodopera umana.
Il lungo arc che vede i labor della seconda squadra scontrarsi con un esperimento genetico, sfuggito ai loro creatori, la lunga trama che vede protagonista la Shaft, una multinazionale con pochi scrupoli, che ricorda tantissimo, per la carenza etica, la Roxxon Marvel o la Lexcorp della DC, il cui capuficcio della sezione 7, Utsumi, sembra non avere alcuno scrupolo per reggiungere i suoi scopi.
Ma non mi basterebbero un paio di giorni per descrivervi il mondo ideato da Yuki, che è il caso di ricordare che ha creato Patlabor agli inizi della sua carriera di mangaka. 
Non male cominciare con una serie il cui titolo è divenuto poi un marchio con varie produzioni, dai cartoni animati ai videogiochi passando per giocattoli e gadget vari.
Anche le varie parentesi, immancabili, di guerriglia urbana a suon di robo-sberle, coinvolgono il lettore, grazie anche alla perfetta caratterizzazione dei personaggi, difficile non innamorarsi, in corso di lettura, di Uozumi o di Ota o del loro team di supporto, come il trasandato Goto, caposezione che nasconde doti intuitive che farebbero invidia all'ispettore Dupin.
Insomma Patlabor è del 1988, letto oggi, è comunque avanti anni luce alla produzione italiana, c'è un approccio al media, nonchè una gestione dello stesso, che semplicemente da noi, se non è estinta, latita da decenni, nulla di strano se ad un certo punto della vita editoriale del fumetto in Italia, calzamaglie e bonellidi si videro superare in termini di vendita dai manga, a fine anni '80.
Se amate i mecha e la fantapolitica, Patlabor è il fumetto che fa per voi, gli appassionati di fumetti nipponici possono andare tranquilli, come accennato più in alto pur nella sua originalità, il manga di Yuki, conserva tutti i canoni classici della narrativa illustrata giapponese, amore per la cultura nazionale per i costumi e gli usi, riportati su carta, con una naturalezza disarmante, che arricchisce la lettura e che fa la differenza, con la monotona mediocrità di alcuni interminabili seriali. 
Graficamente Masami Yuki è bravissimo, capace di ideare tavole di tensione con la stessa padronanza di disegnare tavole più scanzonate e comiche, il suo design dei mecha è una gioia per gli occhi, il dinamismo delle sue illustrazioni non ha nulla a che invidiare ai suoi colleghi mangaka da sempre, è il caso di ammetterlo, secoli avanti nella illustrazione più dinamica.
Senza spoilerarvi un solo tankobon, ho parlato anche troppo per i miei, mi sento di consigliarvi il recupero di questi 22 albetti editi da star comics alla fne degli anni'90, che sicuramente insieme a Ghost in the shell del maestro Shirow, rappresentano una tappa fondamentale nello sviluppo di quel tipo di narrativa.
spero di avervi attaccato la scimmia per Patlabor.
Nel frattempo, mentre attacco con 2001 Nights e dopo con Appleseed, non mi resta che augurarvi:
baci ai pupi.